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Lettera di Lombroso a Luzzatti con cui polemizza in merito alle politiche da attuarsi ai fini della lotta alla pellagra


Segnatura
Archivio Luzzatti, Sezione 1, Corrispondenza, Lombroso Cesare 5

Istituto di conservazione
Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, Venezia

Luogo e data
Torino, 03/11/1881

Mittenti
Lombroso, Cesare

Destinatari
Luzzatti, Luigi (Economista, politico e Presidente del Consiglio veneziano)

Citati
Bargoni, Angelo (Magistrato, politico e ministro cremonese)
Cannizzaro, Stanislao (Chimico palermitano, docente presso l'Università di Roma)
Husemann, Theodor (Medico, farmacologo e docente tedesco)
Jacini, Stefano (Politico ed economista lombardo)
Levi, Amelia (Moglie di Luigi Luzzatti, cugina di Cesare Lombroso)
Scillingo
Sormani

Consistenza
2 fogli

Lingua
Italiano

Contenuto
Lombroso scrive a Luzzatti, dichiarandosi incredulo dello "strano errore" in cui anche lui - come i socialisti, gli ignoranti in medicina e molti possidenti - era caduto, obliterando "la precipua causa - l'essenziale della pellagra" a favore delle "concause secondarie". Dichiara che "i morbi epidemici" erano favoriti da concause, ma "una sola è sempre la causa precipua, specifica (veleno o virus sifilitico, colerico miasmatico ec.)". Lo dimostra ricordandogli che "anche dei ricchi, benché in minor numero, contraggono e colera e pellagra". Non tutti ammettono che l'avvelenamento da mais guasto e l'ereditarietà fossero le cause principali: "i più sono miopi e anche i pochi che ci [vedono] bene vivono nelle grandi città e non si preoccupano di studiare una malattia che ai medici costa e non rende e al più studiacchiano qualche libro [senza indagare] fra le capanne dei contadini". Non sempre, inoltre, l'intossicazione è riconoscibile, perché si manifesta tardivamente; ma le "trasformazioni delle mal panificate e umide farine" di mais quarantino, sessantino o americano producevano "un veleno lentissimo ma terribile". "Ma a chi viene in mente che un pane che si usa da milioni di persone possa essere causa di per sé solo di mali?". Lo sfida in proposito a far acquistare dal Ministero di Agricoltura "due mirià di pan giallo" nella campagna pavese o lodigiana e farlo esaminare da Cannizzaro: "se non vi trova le sostanze stricninidiche che ci trovammo noi ci giudichi pure per forviati!". Ammette l'influenza delle concause, perché il fisico debilitato di un mendicante o di un bracciante era meno resistente alla pellagra, come del resto ad ogni morbo; alcune ne aveva verificate anch'egli nell'inchiesta sulla pellagra in Provincia di Torino, come gli abusi dei flebotomi; altri avevano individuato l'eccesso di cibi "troppo forti", la malaria, il cretinismo ecc. "Certo chi toglie di mezzo tante di queste concause, chi somministri con lauti alimenti specie di vino e caffè, renderà deboli gli effetti del maiz cattivo e del pane di maiz, così che paresse averli neutralizzati". Acconsente - benché "la scienza non vuol saperne della politica" - alla proposta di togliere le tasse sul sale, perché l'introduzione del sale nella dieta del contadino avrebbe irrobustito il loro fisico; ma anche in questo caso non si sarebbero rimosse le cause della pellagra. "È vero che in Italia siamo pochissimi a capire ciò ma non v'è un solo scienziato serio di Germania o di Francia che non concordi con noi e ci conforti dell'unanime risa dei conterranei". Lo avverte che la lettera, come la precedente, doveva restare privata e invia saluti alla moglie, dichiarando di aver desiderio di vederli

Note
Per gentile concessione dell'Istituto Veneto di Scienze, Lettere ed Arti, Venezia